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I nubiani vivevano a sud dell’Egitto, nella regione della Nubia che oggi comprende anche il nord del Sudan.
Erano rinomati come arcieri e guerrieri d’élite, e per secoli svolsero un ruolo decisivo nella difesa e nel controllo militare dell’Egitto e dei territori sotto il suo controllo.
Gli arcieri nubiani erano presenti già durante la XI dinastia, nel Medio regno perché statuette in legno, rinvenute nella tomba di Mesehti ad Assiut, rappresentano arcieri con arco e faretra.
In queste statuette sono raffigurati con la pelle molto scura, orecchini ad anello e capelli lunghi intrecciati.
La loro presenza di rilievo proseguì e si consolidò nel Nuovo regno, fase di massimo potere ed espansione territoriale dell’antico Egitto attestati dai resti archeologici rinvenuti a Deir el-Bahri, nel tempio funerario della regina egizia Hatshepsut.
Questi resti mostrano un gruppo di sessanta nubiani, di età compresa tra i trenta e i quarant’anni, riconoscibili dalle loro acconciature caratteristiche.
Tali rilievi forniscono informazioni sulla loro organizzazione, sulla loro esperienza e sul loro ruolo come forza d’élite impiegata nelle guarnigioni e nelle campagne di frontiera.
Parallelamente, vi erano i Medjay, un gruppo tribale composto da nubiani stanziati a nord dell’attuale Sudan, che svolgevano funzioni di esploratori e addetti alla sicurezza.
I Medjay erano incaricati di proteggere le principali rotte commerciali e le necropoli. Il termine Medjay finì per indicare i membri di specifici battaglioni dell’esercito.
Con il titolo militare di «comandante degli arcieri di Kush», si riconosceva la posizione di prestigio occupata da questi mercenari.
Verso il 1550 a.C., alla fine del Secondo periodo intermedio, i faraoni di Tebe espulsero gli hyksos, un popolo di origine semitica, e riconquistarono il controllo del Nilo, dando così inizio al Nuovo regno.
Fu allora che l’Egitto decise di rafforzare il proprio esercito catturando e integrando i nubiani come soldati stranieri che prestavano servizio in unità separate ma permanenti. Combattevano insieme agli egizi e facevano parte integrante della struttura militare del Nuovo Regno.
Il loro ruolo fu rilevante in numerose campagne militari, come le spedizioni di Thutmosi III nel Levante, condotte tra il 1479 e il 1425 a.C. nelle città-stato e nelle regioni di quelle che oggi sono la Siria e la Palestina.
La loro abilità con l’arco, l’organizzazione e l’esperienza li resero davvero indispensabili e contribuirono a rafforzare il potere dell’Egitto oltre il Nilo.
Erano truppe straniere di stanza nei territori egizi, nettamente distinte dai soldati egizi.
Generalmente gli arcieri nubiani vengono definiti mercenari, poiché nell’antico Egitto questo termine serviva a indicare i soldati stranieri.
In realtà, però, i nubiani non rispondevano ad alcuni criteri tipici del mercenariato, come la possibilità di abbandonare il servizio o cambiare schieramento in caso di mancato pagamento.
Vivevano stabilmente in Egitto, sposavano donne locali e formavano famiglie, come dimostrano le informazioni provenienti dal sito archeologico di Gebelein, situato a sud di Tebe.
La presenza di soldati nubiani generò anche alcune tensioni, come si legge in una delle Lettere di Amarna, che riferisce di un ammutinamento di una guarnigione nubiana a Gerusalemme per problemi legati ai rifornimenti o ai compensi.

Il governo del Regno Unito ha promesso un inasprimento degli standard di tutela dei crostacei che viene definito come “il più ambizioso di una generazione”.
Nel documento redatto si dichiara che la bollitura di crostacei vivi “non è un metodo di uccisione accettabile” e che verranno fornite indicazioni alternative da attuare al momento dell’abbattimento.
La misura riguarda i crostacei decapodi, come aragoste, granchi, gamberi e scampi, già riconosciuti nel 2022 come esseri senzienti, capaci di provare dolore, insieme ai cefalopodi come polpi e calamari.
La decisione è stata accolta positivamente dalle associazioni animaliste poiché quando crostacei vivi e coscienti vengono messi in una pentola di acqua bollente, sopportano diversi minuti di dolore atroce prima di morire.
Lungo tutta la filiera esistono però alternative come lo stordimento elettrico prima della macellazione, che sono facilmente disponibili.
Nonostante il riconoscimento scientifico della sensibilità dei crostacei, la bollitura da vivi è ancora utilizzata in alcuni ristoranti. Altri operatori scelgono metodi diversi, come il congelamento o lo stordimento prima della cottura.
In Italia è già vietato cuocere le aragoste vive e trasportarle nelle casse di ghiaccio. In più non è neanche permesso mantenere gli astici sui banchi del supermercato con le chele legate.
Le associazioni per il benessere animale sostengono che l’uso di pistole elettriche per lo stordimento o il raffreddamento in aria fredda o ghiaccio prima della bollitura sia più umano.
Per decenni si è creduto che bollire le aragoste vive ne migliorasse il sapore ma negli ultimi anni, però, diversi chef hanno sostenuto che lo stress peggiora il gusto.

L’imperatore romano Marco Aurelio (Roma, 26 aprile 121 d.C. – Sirmio, 17 marzo 180 d.C.) ha guidato l’Impero tra guerre, crisi e tragedie collettive e proprio per questo ha scelto come riferimento lo stoicismo.
Aveva bisogno di una disciplina mentale che lo aiutasse a restare lucido per agire con giustizia e non farsi travolgere dagli eventi che richiedevano spesso decisioni concrete e pesanti.
Il suo testo le Meditazioni nasce come un diario personale: appunti scritti anche durante le campagne militari, pensieri rivolti a se stesso per non perdere la rotta.
E da lì arrivano indicazioni pratiche su come agire con virtù anche nelle situazioni più complesse, come attraversare il dolore senza esserne schiacciati e accettare la morte senza panico.
È una guida essenziale a restare presenti e coerenti anche quando tutto intorno sembra vacillare.
La vita è solo il contesto, il “luogo” in cui ognuno agisce e il valore di ciò che accade dipende solo da come viene vissuto.
Secondo lo stoicismo, infatti, non sono le cose esterne a influenzare davvero, ma il giudizio che si dà su di esse.
La differenza la fa il modo in cui ci si pone, l’intenzione, la virtù, la razionalità con cui si reagisce.
Anche oggi si vive immersi nella informazione continua e tutto viene classificato subito come positivo o negativo, spesso senza pensarci troppo.
Ma si può controllare non quello che accade ma solo come si interpreta ciò che succede e quali azioni e decisioni prendere in risposta.
È una visione libera perché non bisogna dominare ogni evento esterno. E’ importante solo come si reagisce decidendo che tipo di persona si vuole essere.
Una critica severa, ad esempio, può essere letta come un’occasione di riflessione e di apprendimento.
La perdita del lavoro può essere vissuto come un fallimento ma anche come una occasione per ridefinire il proprio percorso.
Quando arriva un complimento bisogna riconoscersi il merito ma senza dipendere dalla convalida esterna.
Il bene e il male, per Marco Aurelio, nascono dal modo in cui si sceglie di agire, non dal tipo di evento che capita.

Argomenti basati sul rapporto costo-beneficio sono stati usati per giustificare l’entrata in guerra, supportare le guerre, motivare l’adesione a coalizioni belliche.
Quando l’Italia invase a freddo la Libia ottomana nel 1911, la gente venne convinta che la guerra sarebbe stata rapida e che la conquista si sarebbe ripagata da sola.
Conquistare Tripolitania e Cirenaica sembrava un ottimo affare, il cui premio erano terra e onore e l’annessione era un fatto naturale.
I giornali italiani esaltavano la missione civilizzatrice e la crescita del prestigio nazionale, rimpicciolito dal disastro di Adua (1896).
Le nascenti tecnologie fotografiche e cinematografiche puntarono sull’aviazione, allora agli albori. Fu la prima guerra a usare gli aerei che ammaliarono gli italiani.
I benefici apparivano vicini e immediati mentre i costi erano astratti e distanti.
La guerra durò dalla fine di settembre 1911 alla metà di ottobre 1912, assai più a lungo di quanto avesse promesso la retorica iniziale.
E ogni settimana in più significava più munizioni, più carbone per la flotta, più stipendi e pensioni, più ospedali e tombe.
Inoltre i combattimenti non si limitarono alle spiagge libiche, ma si estesero dall’Adriatico ai Dardanelli.
Questa guerra marginale sconvolse un precario equilibrio europeo, scoperchiò la debolezza ottomana, incoraggiò altre potenze ad assaltare alle terre ottomane nei Balcani.
La fiera resistenza libica non trovò alcuna sponda mediatica in Italia, assieme alle storie di atrocità. L’Italia vinse la Libia e, per un certo periodo, pure le isole dell’Egeo.
La colonna dei costi era però un po’ lunga: un anno di combattimenti su più fronti, spese superiori al dichiarato, una tenace resistenza, l’impegno a tempo indeterminato di governare una terra ostile.
La guerra italo-turca non dimostra che i numeri mentono, ma che le narrazioni scelgono i numeri che contano e quelli che vanno taciuti.
In Italia la stessa parodia economicista fu messa reiterata poi con la prima guerra mondiale, riproposta con la seconda guerra italo‑etiope (1935-36), nell’intervento italiano nella guerra civile spagnola (1936-39) e nell’ ingresso nella seconda guerra mondiale (1940).
Poi è stata reiterata in questo secolo in Afghanistan e Iraq così come per l’intervento in Libia del 2011, operazione Nato con partecipazione italiana.
La propaganda fa sembrare certi i benefici e incerti i costi che vengono lasciati fuori dalla porta. Uno schema riproposto ovunque.

Ritratto di giovane donna è un dipinto olio su tavola (37×27 cm) di Rogier van der Weyden, databile al 1460 circa e conservato nella National Gallery of Art di Washington.
Secondo la tipologia tipica della pittura fiamminga, il ritratto è presentato di tre quarti, su uno sfondo scuro e neutro


La monogamia non è particolarmente diffusa tra gli uccelli ma quando un volatile è monogamo prende la cosa seriamente.
I cigni, le oche e gli albatri sono famosi per i loro legami che durano tutta la vita e più in generale tutti gli uccelli marini sono esempi di duratura monogamia.
Le femmine di sula di Nazca però hanno una vita sentimentale movimentata e la scelta finale del partner non dipende mai dai maschi.
Presente in tutto il Pacifico orientale, la sula di Nazca è diffusa soprattutto alle Galapagos dove è stato condotto uno studio durato 74 giorni consecutivi.
Sono state effettuate osservazioni costanti del comportamento delle femmine di questo uccello nel periodo degli accoppiamenti.
Si è scoperto che le femmine passano da un maschio all’altro fino a che non trovano quello che apprezzano davvero. Il record appartiene a una sula che ha cambiato 16 partner nell’arco dei 74 giorni.
I maschi inoltre non fanni nulla per reagire: non si attaccano tra loro per conquistare le femmine né se la prendono con le femmine.
Questo perché i maschi di sula di Nazca sono più piccoli e gracili delle femmine, delle quali hanno anche una certa paura.
Finché non hanno scelto il loro partner riproduttivo, inoltre le femmine di sula di Nazca non cominciano a ovulare.
Gli incontri con i maschi sono quindi “solo sesso”, e non hanno scopo riproduttivo. Trovato il partner giusto, la femmina riduce o azzera le sue relazioni extraconiugali e si rende disponibile alla riproduzione.
Prima di investire tempo ed energie in un maschio, le sule vogliono assicurarsi che sia davvero quello giusto.

Dischi di pietra, enormi, tondeggianti, con superfici levigate dal tempo o scandite da cerchi concentrici sono affiorati dal suolo come oggetti fuori scala.
Sono stati rinvenuti durante i lavori stradali nel distretto di Şemdinli, nella provincia di Hakkari, nella regione di Aktütün della Turchia orientale, non lontano dal confine iracheno.
Erano sepolti sotto il terreno, invisibili fino a quando le ruspe non hanno inciso il suolo. Ciascuno pesa oltre 200 chilogrammi e alcuni superano abbondantemente il metro di diametro.
A notarli per primo è stato il capo del villaggio di Konur che ha deciso di metterli in salvo, facendoli trasportare davanti alla propria abitazione, dove si trovano tuttora, custoditi da tre anni in attesa di uno studio scientifico ufficiale.
Potrebbero essere fossili, forse resti di animali antichissimi mineralizzati nel corso di milioni di anni ma le possibilità interpretative restano aperte.
In casi analoghi, formazioni simili sono state identificate come antiche macine, elementi rituali, strutture cerimoniali, oppure come formazioni geologiche formatesi per precipitazione minerale in sedimenti antichi.
A migliaia di chilometri di distanza, nel Sahara libico, nel massiccio del Tadrart Acacus, un paesaggio noto per le sue incisioni rupestri preistoriche, esiste un luogo chiamato non a caso “Valle dei Pianeti”.
Qui, su un’estensione di circa 30 chilometri, emergono dal suolo decine, forse centinaia, di strutture rocciose perfettamente circolari.
Alcune appaiono come enormi pneumatici pietrificati, altre come dischi con un “occhio” centrale; altre ancora sono spezzate, rivelando stratificazioni concentriche che ricordano i geodi.
Le dimensioni, in questo caso, sono ancora più impressionanti: fino a 10 metri di diametro.
La spiegazione più accreditata chiama in causa le concrezioni minerali, strutture che si formano quando minerali come ferro, calcio o silice precipitano lentamente attorno a un nucleo, creando involucri concentrici nel corso di tempi geologici lunghissimi.
Fenomeni analoghi sono noti in diverse parti del mondo: dalle Moqui marbles dello Utah alle Cannonball concretions del Dakota del Nord. Nel Sahara, però, la scala e la densità del fenomeno appaiono eccezionali.
Accanto a questa ipotesi, alcuni studiosi avanzano una possibile origine stromatolitica. Gli stromatoliti sono strutture sedimentarie create da colonie di cianobatteri in ambienti acquatici poco profondi, attive già oltre un miliardo di anni fa.
In quest’ultimo caso ci troveremmo di fronte alle tracce di un Sahara radicalmente diverso: non deserto, ma paesaggio d’acqua poi lentamente trasformato dalla desertificazione.
Eppure, come in Turchia, anche qui emerge una terza linea di riflessione: quella culturale.
Il Tadrart Acacus non è solo un archivio geologico, ma uno dei più straordinari complessi di arte rupestre preistorica, con testimonianze che risalgono fino a 12.000 anni fa.
Le popolazioni che abitarono queste regioni attribuivano spesso alle forme naturali un valore simbolico e sacro. Rocce particolari diventavano altari, marcatori cosmologici, luoghi di contatto con il sacro.
La forma perfetta non implica necessariamente la mano umana ma nemmeno esclude un’interazione culturale successiva.
Ciò che manca è lo sguardo della scienza: rilievi, campionamenti, datazioni e contesto stratigrafico.

Il Cristo velato è una scultura marmorea di Giuseppe Sanmartino, realizzata nel 1753 e conservata nella cappella Sansevero di Napoli.